Sicilia, Vittoria, ore 21.00

 

Due elicotteri atterrarono sul campo sportivo di Vittoria. Ne discesero dieci persone e ad attenderli, ad uno dei cancelli del campo c’erano quattro uomini, i quali, dopo averli accompagnati a bordo di quattro auto, si misero alla loro guida e partirono sgommando; nel frattempo il guardiano della struttura sportiva faceva ampi segni agli elicotteristi di sollevarsi in aria e abbandonare quella pericolosa posizione.

Dopo un’ora di viaggio, percorso prima lungo la strada provinciale che porta ad Acate, un piccolo centro ai confini tra la provincia iblea e quella nissena, e poi lungo una trazzera sterrata, le quattro auto raggiunsero un antico casale di campagna. C’erano uomini dislocati dappertutto. Nel baglio trovarono quattro uomini che indicarono agli autisti il posto dove parcheggiare; si preoccuparono di aprire gli sportelli e accompagnare gli ospiti in casa. La serata non era di quelle buone, ai lampi e tuoni che si susseguivano in direzione dell’altopiano nisseno, la pioggia provocava un suono scrosciante nel cortile perché andava a sbattere sulla copertura di lamiera di due ovili vicini e addirittura il fetore di sterco che sprigionava, indusse gli uomini appena arrivati a tapparsi il naso con il fazzoletto.

Dentro il palmento di pietra bianca, curato e ben conservato, adattato per l’occasione a sala da pranzo, era presente il gota della mafia isolana con la più potente rappresentanza delle famiglie dislocate nel mondo. Sedici uomini in tutto seduti attorno ad una lunga tavolata, resa invitante da bianche tovaglie di puro lino, ricamate a mano, e imbandita con vassoi  di terracotta, lucidi e smaltati freschi da artisti calatini, stracolmi di salsiccia appena cotta, avvolta nella carta paglia sotto la cenere e con una lunga sfilza di scodelle piene di ricotta fumante.

«            Roba d’altri tempi eh? Saluto tutti lor signori di rispetto!»

Questo fu il saluto di Erminio Barbagallo che aveva a fianco il potente rappresentante del Venezuela, Calogero Coltraro.

I fedelissimi erano rimasti nella prima stanza, mentre i componenti dell’incontro al vertice, con l’arrivo di questi ultimi due erano tutti presenti.

All’appello erano presenti per la Sicilia: Totò detto u scrivanu di Palermo, Giacomino Scaccia di Trapani, Giovanni Ferrauto di Tortorici, Benedetto La Causa di Castelvetrano, Salvatore La Mattina di Mazzarino, Crocifisso Passione di Butera, Totuccio Aldisio di Ferla, Micio Pappalardo di Catania e Antonio Indelicato, detto tristezza di Adrano. Provenivano da altre zone, Josuè Cantaro da Amburgo, Antonio Mirabella da Genova, Giuseppe Cammarana rappresentante delle famiglie di New York, Vito Amoroso, rappresentante delle famiglie di Melbourne, Sebastiano Diotiallevi, detto Janu u ’nsivatu (per le sue mani sempre sudate) di Buenos Aires, Josè La Micela di San Paolo del Brasile e Giambattista Carovana detto Titta u sensali capo mandamento di Gela e proprietario della tenuta do Vischari, divenuta quella sera la capitale mondiale di Cosa Nostra.