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Ed il ricordo di illustri siciliani

 scolpì nella mente del professore la rabbia di un popolo

 che era stato costretto ad onorare stranieri usurpatori

 e non conterranei

che donarono progetti e sogni

di autoaffermazione

 di una nazione tutta siciliana

 

«            Lo storico Rosario Gregorio, agli inizi dell’800, affonda ancora di più la penna nella ricerca della nazionalità dell’Isola, cercando di coniugare due concetti: Diritto e Storia, esaltando usi e costumi da difendere, garantendo il diritto di un popolo attraverso le sue specifiche istituzioni che hanno regolato nei secoli l’ordine civile, sociale, giudiziario, economico, la cultura e le arti. Gli scritti e le ideologie di Rosario Gregorio hanno esaltato il concetto di Sicilia Nazione, basato su un moderno sistema politico; sebbene, avesse sostenuto la necessità di una nuova monarchia e avesse legittimato le pretese baronali. Sono rimaste soltanto idee! L’aristocrazia siciliana di quel tempo esprimeva ricchezza di grande portata e di conseguenza la manodopera, alle proprie dipendenze, godeva di lavoro e di beni al contrario di quello che accadeva sul suolo italico. Di riflesso anche la Chiesa romana, in Sicilia, ebbe la propria parte di splendore e di ricchezza. L’aristocrazia e non meno la borghesia facevano offerte generose alle chiese e agli Ordini religiosi in occasione di lasciti, doti ai monasteri e ricorrenze religiose. I conventi degli Ordini religiosi erano gli unici centri di cultura, di scolarizzazione e di assistenza sociale. Nei grandi e piccoli centri della Sicilia la presenza di chiese e conventi era massiccia. Solo nella città di Ragusa inferiore fino ai primi anni del secolo scorso, esistevano trentasei chiese ed undici conventi e il duomo di San Giorgio, insigne Collegiata con più di cinquanta sacerdoti, godettero d’ingenti ricchezze. Purtroppo, l’esplosione dei contrasti politici all’interno dell’elite isolana, l’ingigantirsi dei conflitti europei, l’avanzata dei Savoia in Lombardia (siamo nel 1733) e poi con l’occupazione del Regno di Napoli da parte di don Carlos, il secondogenito di Filippo V e di Elisabetta Farnese, capitolò la Sicilia. Con la pace di Vienna del 1738, la Sicilia passò a Carlo di Borbone e così si perpetrò l’ennesimo sacco dell’Isola. Al momento dell’annessione, il regno delle Due Sicilie aveva un capitale di 443 milioni, pari a più del doppio di tutti gli altri stati italici messi insieme; il numero dei poveri in Sicilia era meno del Piemonte, Liguria e Lombardia, e Palermo contava una popolazione di quasi duecento mila abitanti pari a quella di Milano. I Piemontesi si rivelarono peggiori dei Borboni. La Sicilia con il passaggio dall’oppressione borbonica a quella sabauda cadde dalla padella nella brace. L’unità d’Italia portò nuove tasse, balzelli e pizzi, tanto che ridussero una popolazione allo stremo delle forze ed ogni tentativo di protesta venne soffocato barbaramente, trucidando cittadini inermi. Il 27 maggio  del 1860, i garibaldini entrarono a Palermo e Garibaldi stesso s’impossessò subito di cinque milioni di ducati in oro della zecca di Palermo ed il traditore siciliano La Farina consegnò le armi a Garibaldi e pubblicò il giornale filosabaudo L’Annessione come imposto dal Cavour. Il vivere divenne sopravvivere, la povertà e la miseria presero piede in lungo e in largo e produssero l’emigrazione forzata, una sorta di esodo che prima apparteneva alle popolazioni del nord. Camillo Benso Conte di Cavour, che ancora nei libri di scuola viene presentato come uomo illustre per aver aiutato il popolo siciliano a liberarsi dal cappio borbonico, fece scempio delle nostre risorse, prendendo in giro persino Garibaldi e servendosi di massacratori come Bixio, Cialdini e tanti altri, e persino di figli di questa terra come Crispi e La Farina che sicuramente non dovettero morire in pace per essersi macchiati del sangue dei loro fratelli. Forse il cosiddetto eroe dei Due Mondi, ammazzapreti, aveva un suo ideale e cioè un’Italia forte e libera, che andasse dalle Alpi al Mediterraneo, tutta repubblicana e senza divari tra il Nord e Sud. Forse i soldi trafugati ai siciliani gli dovevano servire solo per la causa di liberazione e le sue mire politiche andavano oltre il regno piemontese, visto che un anno prima della sua morte scrisse delle lettere in cui evidenziava le malefatte del governo dei Savoia e la delusione provata per una mai raggiunta Italia repubblicana».